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Zuccheri a gogo ma anche tante preziose sostanze tipiche dei frutti arancioni, dal betacarotene alla vitamina C |
Fino al cuore dell’inverno è inconfondibile nella distesa incolore delle colture a riposo per la tonalità vivace dei suoi frutti che pendono dai rami ormai spogli. Uno spettacolo che non lascia indifferenti, dato che in natura il kaki appare come una pianta maestosa ed elegante, alta una decina di metri, con grandi foglie caduche.
Il frutto si presenta come una grossa bacca globosa, a quattro lobi, più o meno marcati, avvolto da una buccia fine, membranosa, gialla o arancione. Nell’involucro sottile della “pelle” esterna, la polpa si fa via via più morbida mano a mano che il kaki cresce, fino a diventare quasi liquida quando il frutto giunge a perfetta maturazione.
Questo è il momento per gustarlo, e non prima: quando, ancora acerbo, il kaki è ricco di tannini, il suo sapore risulta sgradevolmente astringente come il suo effetto sul funzionamento dell’intestino.
Quand’è pronto, invece, il frutto si fa dolce e molto zuccherino, una bomba di glucosio che contiene anche una buona quota di proteine per essere una bacca. Nutriente ed energetico, una volta maturo il kaki diventa anche lassativo e diuretico, particolarmente consigliato a chi ha problemi di fegato. Al contrario, la sua ricchezza di zuccheri ne vieta il consumo a chi soffre di diabete oppure è in lotta con la bilancia.
Tra le varietà più conosciute c’è il Loto di Romagna, il più comune, mentre dalla Campania arriva il Vaniglia. Di coltivazione orientale il Fuyu e il Kawabata. Il Suruga è invece caratterizzato da polpa dura. Tutti hanno in comune la livrea arancione dei frutti, che denuncia la presenza di un'eccellente dose di salutare betacarotene, insieme a vitamina C e potassio.
Cenni storici e curiosità
La patria di origine del kaki è la Cina e da qui si diffuse anche in Giappone, dove riveste, ancora oggi, un ruolo di primaria importanza nell'alimentazione. Nei giardini del nostro Paese la pianta era coltivata già alla fine del XVIII secolo: la testimonianza ci arriva dagli scritti di Filippo Re, botanico e agronomo italiano dell’Ottocento, e dell’abate Giovanni Romani, illustre studioso emiliano della stessa epoca. Tuttavia, i frutti cominciarono a diffondersi solo nella seconda metà del secolo successivo, grazie alle fortunate importazioni in Europa dal Giappone delle diverse e migliori qualità che venivano coltivate nel Paese del Sol Levante.
La ricetta: Bavarese di cachi
Ingredienti:
250 g di cachi, 200 g di panna da montare, 100 g di zucchero semolato, 10 g di colla di pesce, il succo di 1/2 limone, gherigli di noci e panna da montare per decorare
Preparazione:
Mettere a bagno la colla di pesce in acqua fredda. Intanto far bollire per 2 minuti 200 ml d’acqua con lo zucchero e la buccia grattugiata di mezzo limone. Togliere dall’acqua la colla di pesce, strizzarla bene e stemperarla nello sciroppo ottenuto, quindi lasciare intiepidire e aggiungere i cachi, precedentemente frullati con il succo di mezzo limone. Amalgamare bene il tutto e lasciar raffreddare completamente, quindi incorporare 200 g di panna montata. Versare la bavarese in uno stampo ad anello oppure distribuirla in 6 stampini individuali e passare in frigorifero per almeno 6 ore. Al momento di servire, sformare le piccole bavaresi su piatti monoporzione e guarnirle con ciuffetti di panna montata e con gherigli di noci. |
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